lunedì 15 giugno 2015

Sul fascismo sindacale e lo "sciopero degli scrutini"

Insegno in una scuola statale. Dal titolo si capisce chiaramente che non sono affatto d'accordo con lo "sciopero degli scrutini" (chiamiamolo così, per brevità e praticità), proclamato dalle principali sigle sindacali nazionali. Vorrei qui spiegare perché. 

Soprattutto spiegare il motivo per cui lo ritengo lesivo dei diritti fondamentali dei lavoratori e persino, correndo il rischio di essere preso per matto, antisindacale.

"Come? Uno sciopero sindacale che è ANTISINDACALE? Ma ti senti bene?", potrebbe obiettare qualcuno.

Ebbene sì: antisindacale. E credo sia un caso unico che riguarda proprio il mondo della scuola.
Parliamo del diritto di sciopero che è un sacrosanto diritto del lavoratore e che in questo caso - come non avveniva da decenni - viene applicato in occasione degli scrutini di fine anno, quando si decide cioè se mandare avanti un alunno o respingerlo, se dargli 6 in pagella o un più gratificante 10.

Vorrei premettere alla mia breve e pacifica riflessione - ma non poco accalorata - due distinguo fondamentali.
Il primo: ritengo fondamentale la presenza attiva dei sindacati all'interno di uno Stato democratico e a fondamento di una società civile. Il loro ruolo è stato, ed è, fondamentale nella storia della nostra Repubblica e, in generale, nella storia di lavoratori e lavoratrici di tutto il mondo, a cui è stata assicurata tutela, assistenza e, nei peggiori dei casi, mutualità. A loro la mia riconoscenza, senza "se" e senza "ma". Chi scrive è iscritto ad un noto sindacato nazionale e non vuole certo screditare l'attività di chi, in più occasioni, lo ha aiutato a tutelare i suoi diritti e a meglio discernere i suoi doveri.
Il secondo distinguo è terminologico: con l'aggettivo "fascista" non voglio certo richiamare il ventennio storico che ha visto a capo della Nazione Mussolini e i suoi gerarchi. Voglio usare il termine, invece, in senso lato, per richiamare quelle condotte istituzionalizzate che relegano le libertà individuali a semplici optional, accessori, un'aggiunta superflua che può starci o meno, tanto fa lo stesso. 
Una condotta fascista, appunto: si fa così e basta, che ti piaccia o meno. E' la stessa accezione terminologica che usa mia nonna quando sente una persona esprimersi in modo perentorio: "Ammazza che fascista!", dice lei.

Vengo al punto. Questa mattina vado a scuola, percorrendo i circa 40 km che separano casa mia dalla sede in cui lavoro. Arrivo lì e trovo gli scrutini bloccati. Tra gli insegnanti c'è chi si avvale del diritto di sciopero. 
Non c'è nulla di male nel diritto di sciopero, capiamoci: lo sciopero, lo ripetiamo, è un diritto previsto dal nostro ordinamento giuridico.

C'è qualcosa, però, che rende questo sciopero del tutto particolare rispetto agli altri, e quindi a differenza degli altri casi questo diritto non mi pare affatto intoccabile: gli scrutini, per poter essere espletati, hanno bisogno della totale collegialità del consiglio di classe o di interclasse. Morale della favola? Se un insegnante sciopera non si può procedere ai lavori di scrutinio. Chi non aderisce alla protesta, in questo modo, rimane 4 ore con le braccia conserte senza fare nulla. Viene letteralmente bloccato dal collega (o dai colleghi, anche se basta l'adesione di uno soltanto).

Non è tutto: il giorno di lavoro dedicato agli scrutini deve essere recuperato in altra data, quindi si dovrà tornare a scuola in un giorno aggiuntivo rispetto a quelli già programmati per la conclusione dell'anno scolastico. Se i giorni di sciopero previsti sono due, i disagi raddoppiano.

Peccato che io non abbia affatto deciso di scioperare e il mio diritto al lavoro, in questo modo, non viene affatto tutelato. 

Viene anzi penalizzato, perché sarò costretto ad aggiungere due giorni di lavoro a quelli già previsti.

La differenza rispetto ad altre forme di sciopero esiste eccome! In questo caso il diritto a scioperare del lavoratore contrasta - o può contrastare - con il mio diritto, altrettanto legittimo, a lavorare e a non partecipare alla protesta!

Da lavoratore, avrò o no il diritto di scegliere se lavorare o meno!? Il sindacato, qualsiasi esso sia, può togliermi in qualche modo la mia libertà di coscienza e la mia capacità di discernere in autonomia?

La risposta, per quanto mi riguarda, è scontata: no, non può farlo, non accetto che abbia questo potere su di me.

Un paragone semplice forse può aiutarci a riflettere: se sciopera l'ATAC di Roma gli autisti possono scegliere, ovviamente, se aderire oppure no. In ogni caso va garantito all'utenza il servizio minimo. Un autista che non se la sente di scioperare, che non reputa giusto lo sciopero per una qualsiasi ragione (e anche questa è insindacabile), va sul posto di lavoro, prende l'autobus che gli è stato affidato e fa la sua corsa, finita la quale se ne torna a casa. Nessuno può impedirgli di lavorare, nessuno gli sottrae dallo stipendio il corrispettivo della giornata lavorativa e nessuno gli chiederà di lavorare un giorno in più perché c'era lo sciopero a cui non ha aderito.

In questo caso non è così!
Se in un consiglio di classe di 8 docenti uno soltanto decidesse di scioperare, ha il potere di bloccare gli altri 7.
Ma come - voglio chiedere al sindacato - gli altri 7 che vogliono lavorare non sono lavoratori da tutelare? Il sindacato non esiste anche per loro? Perché un solo diritto allo sciopero vale più di 7 che hanno intenzione di lavorare?

Per questa ragione non ritengo giusti, né validi, gli scioperi indetti nei giorni degli scrutini. 

Una possibile obiezione: "Ma di che ti stupisci? Lo sciopero serve proprio per creare disagio!!!"

Risposta: "Anche alla stessa categoria di lavoratori che lo sciopero vorrebbe tutelare???"

Non sono particolarmente informato sui diritti sindacali, ma qualsiasi fosse la giustificazione che si desse a queste mie domande la riterrei insufficiente. Nessuno, rispetto al mio diritto a lavorare, può decidere al posto mio. Ci sono in gioco le libertà individuali. La scelta sindacale di un mio collega non può influire sulle mie scelte: è la sua libertà contro la mia. Quale vale di più? 

Si vede chiaramente: quella tutelata dal sindacato. C'è infatti della coercizione in tutto ciò, una arbitraria negazione dei diritti dei singoli nell'esercizio di un potere istituzionale e politico. E' ciò che accade negli Stati totalitari, senza voler scomodare le parole dei teorici dell'assolutismo. "La mia ragione istituzionale vale più del tuo diritto individuale": l'istituzione che si sostituisce alla libertà del singolo. Questo può valere solo nei casi di tutela dei diritti della maggioranza, ma non è certo questo il caso!

Senza entrare nel merito delle motivazioni per cui si sciopera - la famigerata, a detta dei più, Buona Scuola di Renzi - il sindacato, in questi casi, contribuisce a rendere il mondo della scuola il più gattopardesco tra i comparti del lavoro pubblico: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", dice Giuseppe Tomasi di Lampedusa per bocca del principe di Salina. Diciamo a chiacchiere che vogliamo che le cose cambino, ma nei fatti ci fa comodo che tutto resti com'è.

D'altronde abbiamo forse sentito proposte costruttive dai parte dei sindacati per migliorare la fatiscente, inefficace, obsoleta scuola italiana? Abbiamo sentito qualche pronunciamento da parte loro a tutela della maggior parte degli insegnanti che lavora con passione, dedizione, spirito di sacrificio, in barba ai fannulloni che pure tutti vediamo e che ci fanno comodo?

Un'ultima considerazione di carattere generale.

Da studente ho avuto due insegnanti, che ricordo chiaramente perché uno era l'opposto dell'altro. Non posso riferirmi a loro nemmeno citando la materia di insegnamento, perché sarebbero facilmente individuabili. L'uno si assentava un paio di volte a settimana, costantemente, e quando era in classe ci lasciava chiacchierare perché aveva 3 o 4 quotidiani da leggere: La Repubblica, La Stampa e il Corriere della Sera. Era un intellettuale, doveva informarsi. L'altro è stato per me un esempio di serietà, dedizione, spirito di sacrificio. Restava a scuola di pomeriggio per metterci in condizione di sostenere dignitosamente la maturità. L'altro si allontanò all'inizio di maggio per un tour in America, scrivendo una lettera di scuse al commissario esterno nel caso "ci avesse trovati poco preparati".
Chi tutela il più diligente dei due? Perché mai dal punto di vista stipendiale questi due docenti sarebbero "uguali"?
Chi ci rimette, tanto per cambiare, sono i figli dei "poveri cristi". Gli altri, quelli con il portafogli gonfio, il modo per istruire i loro rampolli lo trovano, con i master in giro per il mondo e le scuole di lingue private. Chi subisce lo sfacelo della scuola sono sempre e solo i poveracci.

Dov'è una controproposta seria rispetto ai criteri per la valutazione dei docenti, se quelli del DDL di Renzi proprio non piacciono? La verità è che noi docenti NON VOGLIAMO ESSERE VALUTATI. Vogliamo valutare, certo, ma essere valutati, mai!

Buttare completamente "La buona scuola" nel cestino, il bambino insieme all'acqua sporca, è l'ennesimo abuso di potere di un sindacato consapevolmente staccato dalla realtà, in polemica con chi esercita il potere per non vedere usurpato il proprio.

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