martedì 30 giugno 2015

E' corretto usare "appena" o "non appena"? Con quali modi verbali? Italiano Senza Errori

Si dice "verrò appena mi chiamerai" oppure "verrò non appena mi chiamerai"?

E' un dubbio che ci viene spesso, sia quando parliamo che quando scriviamo. 

Di per sé aggiungere il NON davanti ad APPENA non produce nessun sostanziale cambio di significato. Possiamo quindi considerarlo un pleonasmo, vale a dire una ridondanza, un'aggiunta di una o più parole senza che si produca alcun cambio di significato.

Se ne può fare tranquillamente a meno.

"Ma se a me piace usarlo?", potrebbe obiettare qualcuno.

Ebbene, usare il NON non è un errore: la forma "non appena", infatti, è  stata tramandata da secoli in tutti gli strati linguistici, sia nel linguaggio colloquiale sia in espressioni "alte".

E' quindi una pratica consolidata nella tradizione e non è un errore usarla.

C'è anche, a ben vedere, una piccola
 sfumatura di significato.

Vediamola:

- Verrò appena mi chiamerai;

- Verrò non appena mi chiamerai.

La proposizione principale, in questi periodi, è "verrò". La proposizione secondaria (temporale) è "appena mi chiamerai" o "non appena mi chiamerai".

Nel secondo periodo si percepisce chiaramente che il "non appena" rende più immediato il verificarsi dell'azione: in altre parole pare che tra il momento in cui "tu mi chiamerai" e quello in cui "io verrò" intercorra un tempo minore rispetto alla prima frase.

"Non appena", quindi, dà alla frase una maggiore vivacità.


Insieme a quali tempi e modi verbali dobbiamo usare la congiunzione"appena" o "non appena"?


"Appena" o "non appena" sono congiunzioni che possono avere due significati, e questa differenza giustificherà l'uso di diversi modi verbali:

1. Valore temporale: è il caso in cui "non appena" può essere sostituito con le espressioni "subito dopo che" o "quasi nello stesso momento in cui".

In questi casi si usa il verbo all'INDICATIVO: 

- Verrò a trovarti APPENA potrò;

- Verrò a trovarti NON APPENA potrò.

- Si sentirono al sicuro (non) APPENA (furono) dentro (in questo caso c'è un'ellissi del verbo ausiliare furono)


2. L'espressione di una eventualità: è il caso in cui "non appena" si può sostituire con "tutte le volte che", "quando", "se".

In questo caso, trattandosi di una eventualità (quindi non di certezza), occorre usare il CONGIUNTIVO:

- Avrebbe capito NON APPENA l'avesse visto.

Poiché non c'è affatto la certezza che lo veda, in questo caso occorre usare il congiuntivo che, per definizione, è proprio il modo verbale dell'eventualità, del dubbio, della possibilità.

Rispetto a quest'ultimo caso, spesso nell'italiano, scritto e parlato, si commette un errore, vale a dire la sostituzione del congiuntivo con il condizionale, come per esempio:

"Mi aveva detto che avrebbe chiamato non appena sarebbe arrivato"

Quando invece la forma corretta è:

"Mi aveva detto che avrebbe chiamato non appena fosse arrivato"

La prima delle due forme è senz'altro scorretta.

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giovedì 25 giugno 2015

Quando PIUTTOSTO CHE, se USATO MALE, è una pugnalata al cuore


È sufficiente accendere per qualche secondo la radio o la TV per rendersi conto quanto questo modo di dire sia diffuso tra le persone.

Si sentono spesso frasi del tipo: "Nel frigo c'è vino, piuttosto che acqua, piuttosto che Coca Cola", oppure "per fare questo piatto si possono usare vari tipi di pasta: gli spaghetti piuttosto che i maccheroni piuttosto che i fusilli"; o, ancora, "stasera possiamo andare al cinema piuttosto che a teatro" (intendendo "al cinema oppure al teatro").

Chi non ha mai sentito usare PIUTTOSTO CHE in questo modo ... scagli la prima pietra. 

La pietra non la scaglierà nessuno, perché questa forma grammaticale di PIUTTOSTO CHE è tanto inflazionata quanto sbagliata.

E' davvero fastidioso ad un orecchio raffinato sentir usare un avverbio del genere in modo inadeguato; come se qualcuno ci costringesse a mangiare degli spaghetti da un bicchiere.

"Piuttosto che" è un avverbio che serve per specificare una cosa che si preferisce ad un'altra.

Questo avverbio è composto da più e tosto.
Letteralmente vuol dire "più spesso", ma con il passare del tempo ha assunto altri significati:

Più spesso - più facilmente: è il significato classico, più diffuso: prendo il tram piuttosto che la macchina (vuol dire che prendo il tram più facilmente della macchina)

O meglio: vediamoci in piazza o, piuttosto, all'angolo della strada (vediamoci in piazza o, meglio, all'angolo della strada.

Davvero, piuttosto: questa casa è piuttosto vecchia (questa casa è davvero vecchia/questa casa è alquanto vecchia).

Invece: dimmi piuttosto che cosa vuoi (dimmi invece che cosa vuoi)

USI ERRATI

"PIUTTOSTO CHE" usato al posto della congiunzione "E"

Nella mia libreria ci sono romanzi piuttosto che saggi, piuttosto che riviste

Forma corretta

Nella mia libreria ci sono romanzi, saggi e riviste


"PIUTTOSTO CHE" usato al posto della congiunzione "O"

Che dici, bevo vino piuttosto che l'acqua?

Forma corretta

Che dici, bevo vino oppure l'acqua? 
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martedì 23 giugno 2015

I RAGAZZI FELICI DI SUMMERHILL, di A. Neil - Una scuola diversa: scarica il libro gratis - Libriamoci

Eccoci ad un nuovo appuntamento con la rubrica LIBRIAMOCI, proposta dal nostro Blog.


Il libro che presentiamo in questa occasione è un classico della letteratura pedagogica:


I ragazzi felici di Summerhill, di Alexander Neil (pp. 157)


Il libro è liberamente scaricabile al link che trovate in basso.


DI COSA PARLA IL LIBRO?

Si tratta del racconto di un'esperienza scolastica del tutto nuova e originale, almeno rispetto a come generalmente siamo abituati ad immaginare una scuola: 

Alexander Neil fonda nel 1921 una scuola non repressiva, priva di qualunque autorità  gerarchia. Gli alunni, a differenza degli insegnanti, non hanno obblighi né orari. Possono fare ciò che vogliono a patto che le loro azioni non provochino danni agli altri.

Per chi volesse sapere altro, ovviamente rimando alla lettura del libro, interessante e piacevole, che è possibile scaricare dal link in basso.

Ovviamente, una scuola come questa ha ricevuto non poche critiche da pedagogisti, psicologi e da educatori di tutto il mondo. E' molto critico anche il rapporto tra la scuola di Summerhill e il governo britannico, da cui, in un solo anno scolastico, ha ricevuto ben 9 ispezioni ministeriali.

Per molti, invece, Summerhill è LA SCUOLA PIU' FELICE DEL MONDO.

Per saperne di più: Summerhill su Wikipedia

Scarica qui

lunedì 22 giugno 2015

Si dice "tutti i SABATO" o "tutti i SABATI"? - Italiano Senza Errori

Ecco un'altra questione importante di cui ci occupiamo nella nostra rubrica "Italiano Senza Errori".

Si dice "ci vediamo al solito posto tutti i SABATO" oppure "tutti i SABATI"?

Si è discusso molto su quale sia la forma migliore, ma consultare le fonti appropriate ci aiuta a fugare ogni dubbio:

La forma esatta è TUTTI I SABATI, anche se a molti sembra che suoni male.

Perché si ha questa impressione di cacofonia (brutto suono) rispetto alla parola SABATI?

La spiegazione è semplice: tutti i nomi della settimana, eccetto la parola domenica, sono al maschile. Domenica è l'unico nome femminile. Ebbene, poiché i nomi della settimana dal lunedì al venerdì - maschili appunto - restano invariati, viene spontaneo lasciare invariato anche il nome SABATO, maschile anch'esso.

Se dal punto di vista intuitivo questo ragionamento potrebbe avere una sua logica, esso è totalmente sbagliato dal punto di vista logico-grammaticale:

In italiano, i nomi che terminano con la i accentata "ì" restano invariati al plurale. I nomi che terminano in "o" invece, come appunto SABATO, al plurale cambiano in SABATI, proprio come tutti gli altri nomi, ad esempio ARTO - ARTI, SARTO - SARTI, CORTO - CORTI.

Lo stesso vale per il nome DOMENICA, che termina in - CA: DOMENICHE, proprio come ARCA - ARCHE, BARCA - BARCHE, SPORCA - SPORCHE.

Ah, dimenticavo! I nomi della settimana in italiano si scrivono generalmente con la lettera minuscola. Ci sono casi che fanno eccezione, come ad esempio Sabato Santo, visto che per il popolo cattolico è una festività.


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venerdì 19 giugno 2015

In cosa crede chi non crede? Umberto Eco / Carlo Maria Martini - Libriamoci

Il blog Guamodì Scuola, con questo post, inaugura la rubrica dedicati ai libri, più o meno celebri, da scaricare gratuitamente.  

Sebbene il blog sia direttamente dedicato al mondo della scuola è certo che qui possono trovare spazio anche temi di una certa rilevanza, che riguardano la cultura tout court: la letteratura, la filosofia, l'arte e i più attuali dibattiti contemporanei.

In fondo la scuola non è forse cultura, nel senso più ampio e nobile del termine.

Si tratta di un libricino di poche pagine, i cui autori sono il Cardinale Carlo Maria Martini, morto qualche anno fa, e il noto intellettuale Umberto Eco, scrittore, filosofo, semiologo. 

L'argomento, come si evince dal titolo, è Dio.

I due, sollecitati da una nota casa editrice, sono i protagonisti di uno scambio epistolare breve, ma intenso. Il cardinale, comprensibilmente, difende le ragioni della fede; il filosofo, dal canto suo, testimonia un ateismo carico di filantropia e di morale laica. Interessante l'ultima lettera, che conclude lo scambio epistolare, in cui Umberto Eco racconta di essere stato un fervido credente ed attivista cattolico fino all'età di 22 anni.

Un testo del genere può essere utilissimo nelle lezioni di IRC o per qualsiasi dibattito in classe cha abbia questo tema.

Il libro che segnaliamo riporta anche alcuni saggi di noti filosofi ed intellettuali sul tema di Dio:

Emanuele Severino - La tecnica è il tramonto di ogni buona fede

Manlio Sgalambro - Il bene non può fidarsi su un Dio omicida

Eugenio Scalfari - Per agire moralmente affidiamoci all'istinto

Indro Montanelli - Della mancanza di fede come ingiustizia

Vittorio Foa - Come vivo nel mondo, ecco il mio fondamento

Claudio Martelli - Il credo laico dell'umanesimo cristiano



Se hai problemi a scaricarlo contattaci: ti aiuteremo noi


mercoledì 17 giugno 2015

In classe ho un alunno che ... comprende e utilizza i concetti fondamentali di un'esperienza

Questo post rientra nella rubrica "In classe ho un alunno che...", in cui si confrontano diversi "profili" di studenti (consapevoli di quanto un profilo possa essere provvisorio e, a tratti, sterile), segnalando strumenti e possibilità di intervento.

In questo caso l’alunno può considerarsi in possesso di capacità cognitive sostanzialmente adeguate, anche se non le padroneggia ai livelli del precedente profilo. Parliamo del buon alunno, in possesso di una adeguata motivazione che supporta il suo interesse e la sua partecipazione nelle attività didattiche. Anche il suo equilibrio emotivo risulta buono e adeguato a vivere un contesto di sana vita scolastica.
Consigli per l’intervento
Come intervenire in modo personalizzato con alunni di questo tipo?
  • Ruoli di spicco nelle attività laboratoriali e di studio. Anche alunni con queste caratteristiche hanno bisogno di veder valorizzate le loro potenzialità, con apprezzamenti verbali e non verbali, con una valutazione formativa adeguata e, nel caso di  attività laboratoriali, lavori di gruppo, di apprendimento cooperativo o di tutoring, è bene che abbiano un ruolo di leadership, svolgendo, ad esempio, la mansione di referente o di relatore del gruppo. In questo modo le sue capacità vengono sufficientemente valorizzate e la sua permanenza in classe  sarà stimolante in modo adeguato.
Oltre a questo è in ogni caso utile lavorare sul consolidamento delle competenze cognitive attraverso:

  • La riformulazione di esperienze. Si tratta di proporre all’alunno concetti, contenuti, esperienze formative, scoperte, ricerche in modalità diverse, attraverso riformulazioni con schemi, mappe mentali e concettuali, riduzione in concetti essenziali etc...
  • Allenamento alla formulazione di ipotesi. E’ bene allenare l’alunno alla ricerca di strade alternative, diverse dalle solite. E’ vero, i soliti percorsi sono sicuri e portano certamente a risultati efficaci, eppure è utile tentare vie diverse, forse più brevi ed efficaci oppure più lunghe e tortuose, ma maggiormente stimolanti e creative. Quindi allenare l’alunno a discernere secondo criteri logici del tipo: “Se la situazione è questa... allora questo tentativo può andar bene; se invece le condizioni cambiano, allora è più opportuno sperimentare quest’altro...” . Può essere utile, nell’ambito dell’attività sportiva, analizzare una partita di calcio e immaginare cosa sarebbe accaduto se un’azione di gioco fosse stata impostata in un modo diverso da come invece è realmente accaduto, ad esempio: “Se non avesse crossato e fosse entrato in area palla al piede ... avrebbe potuto ... etc.”

lunedì 15 giugno 2015

Sul fascismo sindacale e lo "sciopero degli scrutini"

Insegno in una scuola statale. Dal titolo si capisce chiaramente che non sono affatto d'accordo con lo "sciopero degli scrutini" (chiamiamolo così, per brevità e praticità), proclamato dalle principali sigle sindacali nazionali. Vorrei qui spiegare perché. 

Soprattutto spiegare il motivo per cui lo ritengo lesivo dei diritti fondamentali dei lavoratori e persino, correndo il rischio di essere preso per matto, antisindacale.

"Come? Uno sciopero sindacale che è ANTISINDACALE? Ma ti senti bene?", potrebbe obiettare qualcuno.

Ebbene sì: antisindacale. E credo sia un caso unico che riguarda proprio il mondo della scuola.
Parliamo del diritto di sciopero che è un sacrosanto diritto del lavoratore e che in questo caso - come non avveniva da decenni - viene applicato in occasione degli scrutini di fine anno, quando si decide cioè se mandare avanti un alunno o respingerlo, se dargli 6 in pagella o un più gratificante 10.

Vorrei premettere alla mia breve e pacifica riflessione - ma non poco accalorata - due distinguo fondamentali.
Il primo: ritengo fondamentale la presenza attiva dei sindacati all'interno di uno Stato democratico e a fondamento di una società civile. Il loro ruolo è stato, ed è, fondamentale nella storia della nostra Repubblica e, in generale, nella storia di lavoratori e lavoratrici di tutto il mondo, a cui è stata assicurata tutela, assistenza e, nei peggiori dei casi, mutualità. A loro la mia riconoscenza, senza "se" e senza "ma". Chi scrive è iscritto ad un noto sindacato nazionale e non vuole certo screditare l'attività di chi, in più occasioni, lo ha aiutato a tutelare i suoi diritti e a meglio discernere i suoi doveri.
Il secondo distinguo è terminologico: con l'aggettivo "fascista" non voglio certo richiamare il ventennio storico che ha visto a capo della Nazione Mussolini e i suoi gerarchi. Voglio usare il termine, invece, in senso lato, per richiamare quelle condotte istituzionalizzate che relegano le libertà individuali a semplici optional, accessori, un'aggiunta superflua che può starci o meno, tanto fa lo stesso. 
Una condotta fascista, appunto: si fa così e basta, che ti piaccia o meno. E' la stessa accezione terminologica che usa mia nonna quando sente una persona esprimersi in modo perentorio: "Ammazza che fascista!", dice lei.

Vengo al punto. Questa mattina vado a scuola, percorrendo i circa 40 km che separano casa mia dalla sede in cui lavoro. Arrivo lì e trovo gli scrutini bloccati. Tra gli insegnanti c'è chi si avvale del diritto di sciopero. 
Non c'è nulla di male nel diritto di sciopero, capiamoci: lo sciopero, lo ripetiamo, è un diritto previsto dal nostro ordinamento giuridico.

C'è qualcosa, però, che rende questo sciopero del tutto particolare rispetto agli altri, e quindi a differenza degli altri casi questo diritto non mi pare affatto intoccabile: gli scrutini, per poter essere espletati, hanno bisogno della totale collegialità del consiglio di classe o di interclasse. Morale della favola? Se un insegnante sciopera non si può procedere ai lavori di scrutinio. Chi non aderisce alla protesta, in questo modo, rimane 4 ore con le braccia conserte senza fare nulla. Viene letteralmente bloccato dal collega (o dai colleghi, anche se basta l'adesione di uno soltanto).

Non è tutto: il giorno di lavoro dedicato agli scrutini deve essere recuperato in altra data, quindi si dovrà tornare a scuola in un giorno aggiuntivo rispetto a quelli già programmati per la conclusione dell'anno scolastico. Se i giorni di sciopero previsti sono due, i disagi raddoppiano.

Peccato che io non abbia affatto deciso di scioperare e il mio diritto al lavoro, in questo modo, non viene affatto tutelato. 

Viene anzi penalizzato, perché sarò costretto ad aggiungere due giorni di lavoro a quelli già previsti.

La differenza rispetto ad altre forme di sciopero esiste eccome! In questo caso il diritto a scioperare del lavoratore contrasta - o può contrastare - con il mio diritto, altrettanto legittimo, a lavorare e a non partecipare alla protesta!

Da lavoratore, avrò o no il diritto di scegliere se lavorare o meno!? Il sindacato, qualsiasi esso sia, può togliermi in qualche modo la mia libertà di coscienza e la mia capacità di discernere in autonomia?

La risposta, per quanto mi riguarda, è scontata: no, non può farlo, non accetto che abbia questo potere su di me.

Un paragone semplice forse può aiutarci a riflettere: se sciopera l'ATAC di Roma gli autisti possono scegliere, ovviamente, se aderire oppure no. In ogni caso va garantito all'utenza il servizio minimo. Un autista che non se la sente di scioperare, che non reputa giusto lo sciopero per una qualsiasi ragione (e anche questa è insindacabile), va sul posto di lavoro, prende l'autobus che gli è stato affidato e fa la sua corsa, finita la quale se ne torna a casa. Nessuno può impedirgli di lavorare, nessuno gli sottrae dallo stipendio il corrispettivo della giornata lavorativa e nessuno gli chiederà di lavorare un giorno in più perché c'era lo sciopero a cui non ha aderito.

In questo caso non è così!
Se in un consiglio di classe di 8 docenti uno soltanto decidesse di scioperare, ha il potere di bloccare gli altri 7.
Ma come - voglio chiedere al sindacato - gli altri 7 che vogliono lavorare non sono lavoratori da tutelare? Il sindacato non esiste anche per loro? Perché un solo diritto allo sciopero vale più di 7 che hanno intenzione di lavorare?

Per questa ragione non ritengo giusti, né validi, gli scioperi indetti nei giorni degli scrutini. 

Una possibile obiezione: "Ma di che ti stupisci? Lo sciopero serve proprio per creare disagio!!!"

Risposta: "Anche alla stessa categoria di lavoratori che lo sciopero vorrebbe tutelare???"

Non sono particolarmente informato sui diritti sindacali, ma qualsiasi fosse la giustificazione che si desse a queste mie domande la riterrei insufficiente. Nessuno, rispetto al mio diritto a lavorare, può decidere al posto mio. Ci sono in gioco le libertà individuali. La scelta sindacale di un mio collega non può influire sulle mie scelte: è la sua libertà contro la mia. Quale vale di più? 

Si vede chiaramente: quella tutelata dal sindacato. C'è infatti della coercizione in tutto ciò, una arbitraria negazione dei diritti dei singoli nell'esercizio di un potere istituzionale e politico. E' ciò che accade negli Stati totalitari, senza voler scomodare le parole dei teorici dell'assolutismo. "La mia ragione istituzionale vale più del tuo diritto individuale": l'istituzione che si sostituisce alla libertà del singolo. Questo può valere solo nei casi di tutela dei diritti della maggioranza, ma non è certo questo il caso!

Senza entrare nel merito delle motivazioni per cui si sciopera - la famigerata, a detta dei più, Buona Scuola di Renzi - il sindacato, in questi casi, contribuisce a rendere il mondo della scuola il più gattopardesco tra i comparti del lavoro pubblico: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", dice Giuseppe Tomasi di Lampedusa per bocca del principe di Salina. Diciamo a chiacchiere che vogliamo che le cose cambino, ma nei fatti ci fa comodo che tutto resti com'è.

D'altronde abbiamo forse sentito proposte costruttive dai parte dei sindacati per migliorare la fatiscente, inefficace, obsoleta scuola italiana? Abbiamo sentito qualche pronunciamento da parte loro a tutela della maggior parte degli insegnanti che lavora con passione, dedizione, spirito di sacrificio, in barba ai fannulloni che pure tutti vediamo e che ci fanno comodo?

Un'ultima considerazione di carattere generale.

Da studente ho avuto due insegnanti, che ricordo chiaramente perché uno era l'opposto dell'altro. Non posso riferirmi a loro nemmeno citando la materia di insegnamento, perché sarebbero facilmente individuabili. L'uno si assentava un paio di volte a settimana, costantemente, e quando era in classe ci lasciava chiacchierare perché aveva 3 o 4 quotidiani da leggere: La Repubblica, La Stampa e il Corriere della Sera. Era un intellettuale, doveva informarsi. L'altro è stato per me un esempio di serietà, dedizione, spirito di sacrificio. Restava a scuola di pomeriggio per metterci in condizione di sostenere dignitosamente la maturità. L'altro si allontanò all'inizio di maggio per un tour in America, scrivendo una lettera di scuse al commissario esterno nel caso "ci avesse trovati poco preparati".
Chi tutela il più diligente dei due? Perché mai dal punto di vista stipendiale questi due docenti sarebbero "uguali"?
Chi ci rimette, tanto per cambiare, sono i figli dei "poveri cristi". Gli altri, quelli con il portafogli gonfio, il modo per istruire i loro rampolli lo trovano, con i master in giro per il mondo e le scuole di lingue private. Chi subisce lo sfacelo della scuola sono sempre e solo i poveracci.

Dov'è una controproposta seria rispetto ai criteri per la valutazione dei docenti, se quelli del DDL di Renzi proprio non piacciono? La verità è che noi docenti NON VOGLIAMO ESSERE VALUTATI. Vogliamo valutare, certo, ma essere valutati, mai!

Buttare completamente "La buona scuola" nel cestino, il bambino insieme all'acqua sporca, è l'ennesimo abuso di potere di un sindacato consapevolmente staccato dalla realtà, in polemica con chi esercita il potere per non vedere usurpato il proprio.

STILI DI PENSIERO: Robert Sternberg e l'autogoverno mentale

"Gli stili di autogoverno mentale possono aiutarci a comprendere meglio i vari modi di pensare e apprendere e a scoprire le nostre preferenze individuali"

Sono le parole che introducono questo interessante articolo di Robert Stenberg, docente presso il dipartimento di psicologia della Yale University.

Nell'introduzione all'articolo (che potrete scaricare alla fine di questo articolo) l'autore definisce così gli STILI:

"Gli stili sono propensioni, sono preferenze nell'uso delle proprie abilità; essi non sono le abilità che possediamo, ma il modo in cui ci piace e troviamo più comodo usarle. Perciò uno stile non è migliore o peggiore, solo diverso".

La teoria di Stenberg è ovviamente applicabile su larga scala nei contesti di insegnamento/apprendimento. Alla base c'è la convinzione che le persone, nelle loro attività quotidiane, hanno bisogno di governare, dirigere e controllare le loro attività. Essendoci molti modi per poterlo fare, le persone scelgono quello a loro più congeniale.

Gli stili sono in totale 13, che riporto sinteticamente di seguito. Lo schema che trovate nella foto li riassume meglio:

1.Legislativo; 2. Esecutivo; 3. Giudiziario; 4. Monarchico; 5. Gerarchico; 6. Oligarchico; 7. Anarchico; 8. Globale; 9. Locale; 10. Interno; 11. Esterno; 12. Liberale; 13. Conservativo.



venerdì 12 giugno 2015

In classe ho un alunno che... si orienta rispetto ai contenuti di un argomento

Questo post rientra nella rubrica "In classe ho un alunno che...", in cui si confrontano diversi "profili" di studenti (consapevoli di quanto un profilo possa essere provvisorio e, a tratti, sterile), segnalando strumenti e possibilità di intervento.

Le differenze tra questo profilo e i precedenti sono rilevanti. L’alunno in questione si orienta riguardo negli argomenti di studio, conosce in linea generale ciò che si sta trattando, ma non padroneggia gli argomenti, né si entusiasma particolarmente per ciò che fa. Potremmo definirlo come il classico  studente che potrebbe fare molto di più, che sta in classe in una situazione di calma piatta (a volte solo apparente), con scarso entusiasmo e che partecipa solo perché lo deve fare. Nello specifico potremmo descriverlo meglio evidenziando le caratteristiche seguenti:
  • Mancanza di alcuni prerequisiti. A volte l’alunno non brilla  perché è carente nei prerequisiti disciplinari e cognitivi necessari per innestare le nuove conoscenze sulle vecchie; sarebbe come tentare di costruire il quinto piano di un palazzo senza aver costruito i quarto! Certo, gli apprendimenti non avvengono - e ormai le ricerche in tal senso lo confermano - in modo lineare step by step, come cioè per anni hanno sostenuto le teorie comportamentiste; si parla oggi, piuttosto, di apprendimenti costruiti secondo forme reticolari e non lineari. Eppure, assunto ciò, non si può negare che è impossibile eseguire delle addizioni in colonna senza conoscere i numeri, come è impossibile leggere senza conoscere le lettere! L’esempio è volutamente banale, ma sottintende l’evidenza che, nella strutturazione degli apprendimenti, talvolta è necessario appropriarsi dei prerequisiti per procedere successivamente con contenuti più complessi.
  • Attenzione non costante. L’alluno spesso è distratto, con la testa tra le nuvole oppure intento a svolgere attività diverse e avulse rispetto a quelle richieste dalla circostanza.
  • Partecipazione demotivata. La partecipazione c’è, ma è trascinata, scostante, forzata; manca l’entusiasmo che fa brillare gli occhi dello studente.
  • Lessico scarno. Il noto linguista Chomsky ci dimostra che l’intelligenza linguistica, sottesa alle abilità nella fruizione e produzione tramite mezzo linguistico, sono l’interfaccia dell’intelligenza cognitiva. Parlo come penso e ... penso come parlo. Detto in soldoni, se conosco più parole, se padroneggio più costrutti sintattici, vuol dire che il mio sistema cognitivo è meglio formato rispetto ad un individuo con lessico scarno e scarsa capacità di produzione verbale. Dunque la scarsità di lessico, in un alunno, è indice di un potenziale cognitivo che va recuperato, potenziato o persino sviluppato.
  • Cattivo rapporto con il docente. L’alunno non sempre è sereno e ha una scarsa capacità di gestione delle emozioni, sia per un modelling sbagliato rispetto alle figure affettive di riferimento, sia per una cattiva considerazione, nei luoghi di crescita, dell’importanza del fattore emozioni per lo sviluppo integrale della persona. Fatto sta che l’alunno, gestendo male le sue emozioni, potrebbe incorrere in un cattivo rapporto con il docente; ancora peggio è se l’insegnante non riesce a considerare e a gestire con la giusta maturità le emozioni dell’alunno.
Consigli per l’intervento

  • Lavori di gruppo ben gestiti. Siano essi laboratori, attività di tutoring, situazioni di apprendimento cooperativo, l’importante è che l’alunno si coinvolga in modalità di apprendimento tra pari. Evitare la frontalità professorale può aiutarlo a sentirsi più a suo agio e a gestire le emozioni in modo progressivamente più adeguato. Ciò renderebbe più gestibili anche le situazioni di attrito con il docente.
  • Individuare e consolidare i prerequisiti carenti. La personalizzazione dell’insegnamento è d’obbligo quando l’alunno non possiede quanto è necessario per procedere ad apprendimento successivi. Il recupero di alcuni prerequisiti è fondamentale, pur riconoscendo limiti evidenti ad approcci  esclusivamente comportamentisti alle dinamiche di apprendimento.
  • Allenare all’individuazione di concetti essenziali negli apprendimenti. Si tratta di restringere la visuale su pochi, ma fondamentali, contenuti che caratterizzano l’apprendimento. Un alunno del tipo che stiamo considerando ha bisogno, soprattutto all’inizio, di confini definiti dell’argomento che si appresta a studiare, è bene quindi isolare i nuclei portanti dell’argomento attraverso: A. L’uso di mappe concettuali; B. Un’accorta sottolineatura del libro di testo o comunque dei materiali da studiare. Dopo aver individuato i nuclei fondamentali è importante riuscire a collocarli nelle giusta sequenzialità e riferirli nell’esatta successione logica. E’ implicito che lavorando in questo modo l’alunno si abitui a discriminare gli argomenti che sono indispensabili e quelli superflui, di riempimento, per una comprensione soddisfacente dei contenuti di studio.
  • Bisbigliare i pensieri. L’alunno ha bisogno a volte di ordinare i pensieri riferendoli a voce. Invitare l’alunno a bisbigliare le parole che pensa può aiutarlo a mettere ordine nei pensieri, ad esplicitarli e a fare chiarezza. Spesso, se si fa attenzione, è possibile notare che l’alunno stesso - anche se in modo non consapevole - bisbiglia mentre scrive, legge o pensa. 

Copyright Guamodì Scuola - RIPRODUZIONE RISERVATA

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mercoledì 10 giugno 2015

40 regole per parlare bene in italiano, da Umberto Eco - Italiano Senza Errori

Con l'estro e la genialità che lo contraddistingue, Umberto Eco ci dà 40 consigli su come esprimerci al meglio in lingua italiana. Sono regole semplici formulate in un modo particolare ... che noterete voi stessi leggendo di seguito.

  1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
  2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
  3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
  4. Esprimiti siccome ti nutri.
  5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
  6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
  7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
  8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
  9. Non generalizzare mai.
  10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
  11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
  12. I paragoni sono come le frasi fatte.
  13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
  14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
  15. Sii sempre più o meno specifico.
  16. L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
  17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
  18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
  19. Metti, le virgole, al posto giusto.
  20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
  21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
  22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
  23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
  24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
  25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
  26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
  27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
  28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
  29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
  30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
  31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
  32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
  33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
  34. Non andare troppo sovente a capo.
            Almeno, non quando non serve.
     35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
     36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
     37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
     38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
    39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
    40. Una frase compiuta deve avere.

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lunedì 8 giugno 2015

Prove d'esame facilitate per disabilità cognitive

Spesso è molto difficile somministrare delle prove d'esame facilitate ad alunni con disabilità. In questo post non intendo certamente risolvere il problema.

Propongo, però, sperando che possa essere utile a qualche collega, tre tipologie di prove adatte ad un alunno con disabilità intellettiva grave (con un livello cognitivo paragonabile ad un allievo di 4 o 5 anni e con grandi difficoltà nello scrivere frasi e parole).

Spero possano essere utili, in qualche modo, a colleghi, educatori e genitori. Su questo blog ne segnalerò altri, non appena ne dovessi entrare in possesso.

Buon lavoro :)

Scheda sull'abilità di "mettere in relazione"

Scheda sull'abilità di "mettere in ordine"

Schede per lavorare con gli insiemi


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In più proponiamo altre risorse:


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